lunedì 30 marzo 2009

Sweet Cairns of mine

Ormai sono tornato alla routine lavorativa del New South Wales per cui penso sia tempo finalmente di dare alla luce il post riguardante le 3 magnifiche giornate e mezza trascorsa a Cairns, ridente cittadina del Queensland tropicale che si affaccia sulla barriera corallina, il che le conferisce lo status di base preferita per i tours ivi diretti.
Ora, smessi i panni di Alberto Angela, vi racconto cosa è successo e cosa abbiamo fatto io e quel mattacchione di Bontà, che è talmente mattacchione che se n'è tornato in Italia!!! Ciao Bounty!!! ;)

Il 13 marzo nel primo pomeriggio siamo rientrati a Cairns dopo la breve ma intensa visita a Capo Tribolazione. Una persona in particolare era contenta di tornare in città...forse presentendo cosa gli sarebbe capitato di lì a poche ore...
Dato che ci sentivamo appiccicosi come la carta moschicida abbiamo deciso di farci un tuffetto nella Lagoon, una piscina pubblica d'acqua salata ricavata in quello che si può definire il “centro” di Cairns e che si trova sulla Esplanade (lungomare). Tutto ciò perché Cairns non ha il mare...ha la palude.
Alla Lagoon ribecchiamo Lorenzo, il toscanaccio conosciuto ad Airlie Beach e che ci ha fatto dell'ottima compagnia durante il tour delle Whitsundays. Tra una fregnaccia e l'altra, dopo esserci raccontati le rispettive esperienze a Cape Tribulation e a Uluru, scatta il toto-stasera. La discussione è abbastanza lunga a causa di discrepanze non tanto negli obiettivi (ammicco ammicco) quanto nel budget, ma alla fine si trova l'accordo: casino e poi...e poi...e poi?!...boh non mi ricordo, ogni tanto mi vengono queste amnesie...
Al casino il sottoscritto si presenta da spettatore e tale rimane per tutto il tempo. Non ci ero mai stato però appena entrato mi sembrava di essere nel film Ocean's Eleven (o i due sequels...fate voi). Bontà inizialmente intenzionato a giocarsi 50 $ ci ripensa dopo che un passante gli augura buona fortuna (qua direi che non c'è grattata che tenga). Il buon Lorenzo si spara invece 100 non ricordo se euri o dollarozzi, fatto sta che dopo circa un'oretta siamo fuori con le pive nel sacco...destinazione...cazzarola non riesco proprio a ricordare...
Ho solo dei flash...entrata timida...noi tre spaparanzati in poltrona...ragazze che si avvicinano per importunarci...tante ragazze...Bontà che minaccia di non rivolgermi più la parola...io che ignoro le sue minacce...Bontà che va via accompagnato a manina...Bontà che torna come una persona nuova...
Dopo questi flash ho la memoria di nuovo lucida. Siamo usciti a farci un giro per lo sconfinato centro di Cairns e abbiamo trovato sul marciapiede una borsetta con dentro un cellulare e due portafogli contenenti in tutto 60 dollarozzi. Inutile dire che la tentazione di tenerci i soldi ce l'abbiamo avuta, ma da buoni cittadini abbiamo fatto “il gesto” di consegnarla “integra” alla polizia. Durante tutto ciò immaginatevi la faccia di Bontà, vittima del furto del portafogli a Surfers Paradise...senza prezzo!!! xD
Compiuto il nostro dovere ritorniamo al...porca paletta non mi viene...vabè torniamo là perchè erano solo le 3:00 di notte e non avevamo sonno.
Di nuovo flash...noi tre seduti sugli sgabelli...ancora ragazze che si avvicinano per importunarci...io che mi assento per 10 minuti...io che torno con un senso alterato...e poi usciamo...
Sono le 4:30 circa e non ne vogliamo sapere di ritirarci, anche perché Cairns ha in serbo per noi ancora altre avventure.
Sempre in zona centro, ci fermiamo in uno spiazzo perchè Danilo e Lorenzo, affamati come veri backpackers, vogliono prendere un pezzo di pizza. L'imprevisto è dietro l'angolo (di fronte alla pizzeria in realtà) e ha la forma di una donna aborigena cicciona, sulla 40ina andante, con dei capelli alla Micheal Jackson quando stava nei Jackson Five...per farla breve un parafango di femmina.
Facciamo per sederci sulla panchina e questa si avvicina blaterando qualcosa circa sua sorella che l'ha cacciata di casa e Allah. Bontà fiuta subito la gabola e lascia a me la patata bollente. Lorenzo arriverà solo a biscotto confezionato (essì perché questo lo considero il secondo biscotto, caro Bontà...). Inizialmente cerco di consolare la tipa dicendole non mi ricordo che cosa, poi capisco che sta veramente di fuori e viene fuori il bastardo che è in me: attacco a coglionarla alla grande. Le inizio a dire che il mio dio, Mazinga, a differenza del suo che le proibisce un sacco di cose mi lascia fare tutto ciò che voglio, tranne che suonare Stairway to Heaven con la chitarra (qui Bontà ha rischiato un corposo riflusso di pizza, ma se l'è cavata egregiamente). Lei ribatte dicendomi che somiglio a Gesù e io la smentisco dicendo che non sono Gesù per tre differenti motivi: non riesco ancora a moltiplicare i pani e i pesci, non sono ancora capace di camminare sull'acqua e al momento non posso tramutare l'acqua in vino. Argomentata la mia posizione la buzzicona si sbilancia in un “you are beautiful!” al che inizio a sentire puzza di bruciato. Poi la mossa finale che scopre finalmente il suo gioco: con un rapido balzo d'anca si avvicina a me. Io resto basito un paio di secondi, il tempo necessario a lei per menarsi...a questo punto, in bullet time tipo Matrix, la schivo...mi alzo di scatto...e realizzo...AIUTO!!! SONO UNA PREDA!!! Faccio per salutarla e subisco un altro affondo. Schivo anche il secondo e ormai in preda al panico me la do a gambe levate con i due al seguito in preda a crisi epilettiche!
Ora piccola riflessione sull'accaduto: mai e poi mai fidarsi di donne aborigene ubriache che attaccano bottone parlando di Alla...perché si menano!
Inutile dirvi che Bontà e Lorenzo hanno assistito all'intera vicenda piegandosi in due dalle risate un po' per la storia del dio Mazinga ma soprattutto per l'epilogo che stava per vedermi vittima...
A questo punto della serata capisco che non è bene sfidare ancora la sorte e che è tempo di andare a nanna, così accompagniamo Lorenzo al suo ostello e ci salutiamo ripromettendoci di beccarci di nuovo a Sydney, prima della partenza definitiva di Lorenzo per l'Italia. E' l'ultima notte con Gollosa, così io decido di dormire in macchina mentre Bounty opta per l'ostello.
Dopo circa 2 ore di sonno io e Bontà abbiamo la sveglia forzata perché ormai è tempo di salutare Gollosa, la nostra mitica Toyota Camry che ci ha scarrozzato da Brisbane a Cairns e da Cairns a Cape Tribulation andata e ritorno. Grande Golly! Ti ricorderò per sempre!
Il resto della giornata (14 marzo) lo passiamo alla Lagoon a goderci il sole tropicale. Nel pomeriggio ci dividiamo: Bontà torna in ostello io mi dirigo verso le strade interne di Cairns per esplorarla un po'. Beh per farla breve se un ciclone spazza via Cairns, ci mettono al massimo una settimana a ricostruirla tutta! L'unico luogo degno di nota in cui mi imbatto è il cimitero, il cui viale principale è ornato di palme tipo lungomare di Port Douglas. Anche la morte qui ha abiti tropicali. xD

Domenica 15 marzo decido di dare un senso alla giornata andando a visitare il Mount Whitfield e i Flecker Botanic Gardens, entrambi non molto distanti dall'ostello dove alloggiamo io e il Bontà, il Serpent. Il Mount Whitfield è un promontorio che domina tutta Cairns, peccato che gli unici due lookout siano sull'aeroporto. La sua caratteristica è che è ricoperto dalla foresta pluviale, di cui io vado pazzo, così decido di intraprendere un percorso, la Blue Arrow, per fare due passi. Per farla tutta ci ho messo 2 ore e mezza!!! Alla faccia della passeggiata! Non mi aspettavo che ci volesse tanto. Anzi a dirla tutta più di una volta ho temuto di essermi perso e di essere finito chissà dove, perchè in alcuni punti la strada era segnalata con dei fiocchetti legati ai rami degli alberi. Detto in altri termini è un attimo perdersi e finire chissà dove in compagnia di quei mattacchioni dei casuari.
Quando ne sono uscito avevo i vestiti completamente bagnati, tant'è che la mappa che avevo in tasca era ridotta a pappa per neonati. Bagnato, stanco e macilento mi trascino ai FBG, che per fortuna sono uno sputo rispetto ai Royal Botanic Gardens di Sydney e dopo un rapido giretto mi allontano con perplessità, diretto ai Century Lakes, situati di fronte ai FBG. Questi laghetti, poco profondi, sono in realtà delle ex paludi bonificate intorno a cui hanno ricavato dei giardini. Sono pieni di piante lagunari e uccelli stupidi che non si fanno fotografare. Insomma un postacchione!!!
Ancora più stanco e perplesso mi dirigo finalmente verso l'ostello dove mi attende una signora doccia.

La giornata del 16 è di completo relax, dato che ci attende una maratona nella sala d'attesa dell'aeroporto di Cairns. Abbiamo la navetta che parte alle 19:20 dall'ostello e il volo alle 5:00 del mattino. Giunti in aeroporto l'obiettivo comune è uno solo: trovare una connessione a internet gratuita. Per fortuna la troviamo quasi al volo e per 9 ore ci diamo alla pazza gioia internettiana, dopo diversi giorni di connessioni limitate dai vari MacDonald's.

E così salutiamo la piccola dolce Cairns e il Queensland, diretti nella grande amata Sydney nel buon vecchio New South Wales!

lunedì 16 marzo 2009

M'ando vai se il 4x4 non ce l'hai (cronaca di una giornata a Cape Tribulation e dintorni)

La mattina del 12 marzo 2009, dopo aver smollato il Bent e Alice all'areoporto di Cairns inizia ufficialmente il “Fuggi da Foggia a Cape Tribulation Road Trip”.
Prima tappa intermedia è Kuranda, una cittadina dell'interno non molto distante da Cairns. Qui all'ufficio informazioni ci danno indicazioni su come raggiungere la Barron Falls. Lo speccatolo è di quelli che mozzano il fiato. La massa di acqua cadente è impressionante e anche il suono è imperioso. Siamo stati fortunati a poter visitare Barron Falls in wet season, poiché durante la stagione secca l'imponente cascata si trasforma in un timido ruscello, a malapena visibile dal lookout di fronte.
Salutata Kuranda e la sua bellissima cascata, proseguiamo il viaggio sulla strada litoranea che porta a Cape Tribulation. La costa a nord di Cairns è molto bella. E' piena zeppa di spiagge, paludi e lookouts che meritano davvero una sosta, qualche foto e un giretto. Su tutte spicca Ellis Beach, che a mio modestissimo parere è più bella di Whitehaven Beach. Qui io e Bontà ci concediamo un lauto pranzetto con la pizza di Pizza Hut avanzata dalla sera prima e una banana a testa.
Proseguendo al Rex Lookout incontriamo anche un tizio in procinto di fare parapendio. Dopo aver assistito a tutta l'azione, dal lancio all'atterraggio, poco più avanti ci fermiano in una spiaggia paludosa. La particolarità è che con la bassa marea l'oceano si ritira di diversi metri lasciando una distesa enorme di sabbia bagnata calpestabile. Non potevamo quindi farci sfuggire l'occasione di passeggiare sul fondo dell'oceano! Durante la passeggiata incontriamo granchietti, strani cumuli di sabbia filiformi (pensavamo fossero escrementi), e alcune stelle marine. Al ritorno ci siamo affacciati a dare un'occhiata, e l'area su cui avevamo camminato era sommersa da diversi centimetri di acqua...amazing!!!
Seconda tappa ufficiale intermedia è Mossman, una cittadina di modeste dimensioni non lontano da Port Douglas. A Mossman visitiamo la Mossman Gorge, la gola che apparteneva alla popolazione dei kukku yalanjima.
Scattate due foto, fatti due passi è tempo di dirigersi a Port Douglas, una località marittima, a differenza delle prime due, molto curata e per una clientela decisamente danarosa. Infatti sulla strada che porta in centro (si fa per dire centro) è piano di resort e terme di un certo livello. Roba insomma che i backpackers manco prendono in considerazione. La Four Mile Beach, la spiaggia di Port Douglas, non sarebbe nulla di che se non avesse le palme in stile Miami a farle da cornice. Dopo la visita a due discreti lookouts il tempo per Port Dougie è scaduto. Finalmente si va dritti a Cape Tribulation!
Continuano le curve e i saliscendi ma la Gollosa (la nostra fida Toyots Camry) affronta entrambi con agilità. La zona di CT è un posto particolare, ma non solo per la foresta pluviale. Sembra quasi un mondo a parte, tant'è che per arrivarci occorre oltrepassare il Daintree River non su di un ponte ma tramite una chiatta!!! Arrivati al punto d'imbarco ci rendiamo subito conto che se Cairns è umida, Cape Tribulation è l'umidità fatta luogo. Non so quantificarla in percentuale ma vi basti sapere che per tutto il tempo trascorso lì non ho mai avuto i vestiti asciutti. Guadato il Daintree, ci avventuriamo finalmente nella foresta pluviale vera e propria. Guidare in mezzo a quel verde pulsante è stata un'esperienza bellissima. Il nostro resort, il Crocodylus Village, si trova sulla strada per Cow Bay, una baia poco a sud di Cape Tribulation “centro”. Trovato abbastanza facilmente il resort e non altrettanto facilmente parcheggio e reception, chiediamo al tizio che ci accoglie, sosia di Robert Englund, l'attore che impersona Nightmare, qualche dritta sulle cose da vedere l'indomani. Soddisfatti dei consigli ci dirigiamo verso la nostra “stanza”. Le virgolette sono d'obbligo perché le stanze sono ricavate in enormi tende dal tetto spiovente divise in quattro parti da pareti di compensato. Questi tendoni hanno pareti esterne per metà di tela incerata e per metà di rete a mo' di zanzariera: praticamente a livello acustico è come dormire all'aperto nella foresta pluviale, con tutto il concerto di bestie e bestiole varie che ne consegue...ah dimenticavo la pioggia... I commenti e le battute sulla sistemazione ovviamente si sono sprecati... Rassegnati al nostro destino ma ridanciani come idioti, ci concediamo una parca cena, una inutile doccia, perché tanto ne siamo usciti sudati come ci eravamo entrati, e una sessione informatica purtroppo senza internet, che era a pagamento. E noi, da buoni backpackers, se non scrocchiamo non siamo contenti. Verso mezzanotte è finalmente il momento di andare a sdraiarsi sul letto al buio. Da qui a dormire ce ne passa... Così facendoci strada tra un rospo di quà e un casuario di là finalmente arriviamo alla nostra capanna. L'impatto con la foresta pluviale al buio è formidabile. Manco c'aspettassero, appena spenta la luce della nostra stanza, comincia un concerto di non si sa quali e quante bestie. Un frastuono indescrivibile unito alla pioggia battente ci tiene svegli a lungo, dopo un po' però il sottoscritto lancia due o tre gasteme (vedi post East Coast vol. 2) all'indirizzo degli abitanti della foresta e finalmente si ottiene un po' di tranquillità, tranne che per i rospi, che continuano a cantare in coro fino al mattino seguente.
La mattina dopo colazione veloce, check out e si parte per il sito di Cape Tribulation, non senza prima aver fatto fare colazione anche alle zanzare mediante due passeggiate in due diversi punti della foresta pluviale. Siti molto belli che si godono a pieno solo indossando uno scafandro da palombaro oppure uno schermo elettromagnetico ad alto voltaggio. Il sito di Cape Tribulation è in pratica una baia in cui l'Endeavour di Cook si incagliò non mi ricordo in quale anno e non mi ricordo nemmeno che diamine ci facesse quassù nel nord del Queensland. Forse forse non lo sapeva nemmeno lui...Fatto sta che, dato il pericolo corso e scampato, il buon Cook, con un enorme sforzo di fantasia, decise di chiamare questo posto Cape Tribulation. E' come se gli italiani decidessero di chiamare la Germania “Pooo po po po po poo pooo-nia” dopo la vittoria dei mondiali del 2006. A Cape Tribulation non è che ci sia molto da fare. C'è un lookout e una spiaggia infestata da coccodrilli, sicché dopo pochi ma intensi minuti, decidiamo di voltare i tacchi e riportare la Gollosa al di là del Daintree River, non senza prima aver fatto tappa alla Daintree Ice Cream Factory, un'azienda agricola che produce gelato usando solo i propri frutti coltivati. Ad accoglierci c'è una simpatica ragazza tedesca, arrivata in Australia col WHV e poi trasferitasi definitivamente dopo aver sposato un australiano. Il gelato del giorno è una coppa con tre frutti: mango, che sa di mango, uno che non mi ricordo che sa di stracciatella, e la papota, che sa di budino al cioccolato!!! Dopo averci parlato un po' di sè e della vita ai tropici, la tipa ci invita a fare un giro per la sua terra per dare un'occhiata da vicino ai frutti coltivati. Anche lì veniamo scortati da uno stormo di zanzare armate fino ai denti, cosicché il buon Bontà, sull'orlo di una crisi di nervi, invoca il rientro in macchina maledicendo per l'ennesima volta il Bent che si è portato il repellente per insetti ad Alice Springs, lasciando noi poveracci a combattere a mani nude contro gli insetti tropicali.
Gustato il gelato tropicale è tempo di riguadare il Daintree. Passato il fiume, e poiché non era nemmeno l'ora di pranzo, proseguiamo il nostro trip per Daintree Village, dove non c'è assolutamente nulla di interessante, sicché per dare un senso a quei 10 km decidiamo di fermarci lì a pranzare col nostro fido “pane e polony”. Il polony è un salume color rosa big babol ma non chiedetemi di cos'è fatto. E' meglio per tutti non saperlo, ma ogni backpackers che si rispetti in viaggio mangia quasi solo quello perché costa poco e crea un tappo antifame a lunga durata. Daintree Village è l'ultima tappa del “Fuggi da Foggia a Cape Tribulation Road Trip”, così non ci resta che affrontare i 100 km che ci separano da Cairns, di cui parlerò nel prossimo post.
Vi anticipo solo che io e Bontà di siamo innamorati di Cairns...
^^

domenica 15 marzo 2009

Whitsundays (o come dicevan molti Whitmondays...)

Sabato 7 marzo 2009 saremmo dovuti partire per la tanto agognata crociera alle isole Whitsundays, che però per qualcuno è solo una mentre Fraser è un arcipelago...vabè... Le previsioni meteorologiche di venerdì non sono dalla nostra, ma ci sta eh. Ci era andato tutto fin troppo di culo fino ad ora, sicché un imprevisto ci poteva anche stare. L'imprevisto questa volta ha un nome, si chiama Hamish ed è un simpaticissimo ciclone forza 3 (scala 1 a 5) che se ne va a zonzo qualche centinaio di km a largo di Cairns, 700 km a nord del nostro punto di partenza per la crociera. Per farla breve: crociera cancellata per sabato e domenica e mani giunte sperando che Hamish non cresca e non scenda verso la costa. Avranno funzionato le preghiere? Ovviamente no!! Sabato Hamish raggiunge il 4° livello e si abbassa verso le Whitsundays per colpirle in pieno domenica quando era a forza 5, cioè il massimo. Bello eh?
A questo punto il morale della truppa è ai minimi storici e si era tutti pronti a ricevere il denaro indietro. C'è da dire però che i due giorni in più di permanenza forzata ad Airlie “does anybody see the” Beach ci hanno permesso di riposarci e rilassarci dopo alcuni giorni di tour e spostamente frenetici. Contro ogni pronostico lunedì 9 siamo riusciti a partire per questa benedetta crociera, che ormai vedevamo come un compito a casa piuttosto che come un divertimento. Salpiamo verso le 4 del pomeriggio e arriviamo dopo circa un'ora di navigazione a South Molle Island, sede del nostro resort, dove dopo un bagno in piscina (essì perché a quelle latitudini se ti azzardi a mettere piede nell'oceano ci sono almeno 3 bestie pronte a freddarti) è ora di cena, e quindi ceniamo. Pennichella post cena e poi giù in pista a vedere che si può fare per la serata. Uno squallore raramente visto altrove. Sbarbatelli e ragazzine forse manco ventenni che si ingozzano di alcol e ballano sui tavoli alla maniera anglosassone, cioè senza criterio alcuno e con l'unico scopo di produrre tanto rumore. Nonostante le copiose sorsate di birra, ovviamente “trickata” e non acquistata al doppio del prezzo sull'isola, intorno a mezzanotte o e il Bent decidiamo che è il momento di lasciare con dignità quel posto tristissimo. Detto fatto senza indugiare.
La mattina dopo colazione alle 7:30 e partenza per Whitehaven, l'isola più grande dell'arcipelago.
Con la bassa marea, almeno a giudicare dalle foto di Vito, Cry e Dani, magari Whitehaven beach è un gran bel posto, di quelli da copertina dei depliants, ma quando ci siamo andati noi faceva, senza mezzi termini, abbastanza cagare: alta marea e ciclone l'avevano resa una spiaggia anonima colma di detriti sulla battigia. Verso le 14:30 è tempo di rientrare alla base. Al ritorno su South Molle io, il Bent e Lorenzo, un ragazzo fiorentino conosciuto la sera prima della partenza al McDonald di Airlie Beach mentre si scroccava internet, veniamo colti dalla scoppia del cocco. L'isola pullula di alberi da cocco, ciononostante un anglofono di nazionalità non meglio specificata è stato capace di chiederci, vedendoci con del cocco sbucciato tra le mani - dove l'avete preso? -.-”
Il gelo...
Aperte un paio di noci di cocco ci tuffiamo in piscina per il consueto bagnetto refrigerante e dopo via di nuovo alla squisitissima cena a base di roba fredda e semi-marcia. Dopo cena le intenzioni mie e del Bent sono delle migliori (o peggiori a seconda della prospettiva), così barzotti di birra ci precipitiamo sul dance/breakfast/dinner floor e troviamo un paesaggio semidesertico. Non c'era nessuno!!! Solo i recidivi della danza alcolica sempre dove e comunque. Inglesi e tedeschi insomma :D
A farci forza nel momento del bisogno arriva Lorenzo, dopo la sua chiamata in Italia d'obbligo, e finalmente la serata prende senso. Sotto un cielo illuminato a giorno dalla luna io e il buon toscanaccio, che di mestiere fa il cuoco, iniziamo a parlare di metal,dance anni '90, pezzoni anni '80, pesca e cucina. E' stata una chiacchierata che ricorderò a lungo. Tutto ciò per sottolineare e per far capire ai cari amici anglosassoni che per godersi un posto non bisogna essere per forsa sbronzi dalla mattina alla sera, ma possono bastare due chiacchiere in riva all'oceano sotto la luna piena.
Fattasi una certa, il sottoscritto si ritira per deliberare mentre il Bent tenta l'ultimo assalto a una tipa del North Carolina marcia come la Maheno.
Il giorno seguente ci svegliamo sotto un classico acquazzone tropicale. E grazie al cazzo! Siamo in piena wet season!! xD

Ora fermo un attimo la narrazione e voglio dire due parole a tutti quelli che sognano di ritirarsi e andare a vivere su di un'isoletta tropicale. Allora iniziamo col dire che ai tropici fa si sempre caldo, ma bisogna avere a che fare con solo due stagioni opposte: la stagione umida e la stagione secca. Durante la prima piove spesso e a lungo ed anche volentieri. Durante la seconda non cade una goccia d'acqua manco a pagarla col sangue. Tutto ciò fa da contorno alla presenza di eventuali cicloni, tempeste e animali letali che vi manderebbero con una facilità estrema all'altro mondo. Mettiamoci poi la scarsità di collegamenti stradali, elettrici e idrici, e pure la costante presenza di turisti. Vi piacerebbe ancora vivere ai tropici?

Riprendiamo.
Nonostante la pioggia abbondante il capitano della Pride of Airlie, soprannominato Capitan Libeccio, decide che non solo si può salpare ma si può anche andare a fare snorkeling a non so quale isola dell'arcipelago, mi ricordo solo che era vicino all'isola dei vip, dove una notte costa 6.500 $ (si avete letto bene...) e se provi ad attraccare iniziano a bersagliarti mitragliatrici da 50 mm dalla spiaggia, siluri da sottomarini atomici, e cecchini scelti appostati su elicotteri che possono decollare in 7 secondi netti.
La situazione è tragicomica. Tempo di merda, acqua non da meno e gente semiubriaca che a fatica entra nella muta. Alcuni vanno a morire quasi subito spiaggiati, altri continuano a barcollare perfino in acqua, sicché sta sessione di snorkeling finisce a tarallucci e goon (vino di infima qualità ndr).
Dopo la suddetta pantomima si torna a South Molle a recuperare i babbei ritardatari del mattino, e qui si manifesta la parte più divertente della crociera. A causa del mare mosso la Pride of Airlie comincia a muoversi su e giù a mo' di Tagada. E' il momento allora di fare il babbeo. Portatomi a prua inizia il gioco del “salta seguendo l'onda possibilmente senza farti sbalzare fuori bordo”. E' un gioco adatto a tutti, grandi e piccini, purché dotati di ottimo equilibrio e agilità per attutire le cadute. In breve si trasforma nel gioco dell'estate, e una folla si accalca a prua per praticarlo. Purtroppo però nessuno viene sbalzato fuori bordo...
Durante tutto ciò sale in cattedra Aatim, un tedesco ciucco come una scimmia, che inizia a offrire goon non suo a chiunque gli capiti a tiro. Impossibile rifiutare dato che si attacca come una piattola finché non bevi. Benché incapace di reggersi in piedi, manifesta la volontà di andare a prua per saltare con le onde, ma per fortuna glielo impediamo dato che a prua, nel suo stato, non ci sarebbe manco arrivato...La distanza era un paio di metri... Purtroppo l'ilarità regalataci dal buon Aatim finisce quando arriva la tipa della crew a sequestrargli il goon, dato che era palesemente ubriaco. Dopo averci chiesto come si dice “vaffanculo” in italiano ed averne lanciati un paio all'indirizzo della tipa, cade addormentato come uno scannato, sicché risulta difficile svegliarlo anche una volta giunti ad Airlie Beach. Giunti colà il tempo di salutare Lorenzo, con la promessa di ribeccarci a Cairns, e di recuperare Alice che alle 16:00 si parte per Cairns, 597 km in macchina verso nord. Dopo un viaggio non facile, date le condizioni meteo e il pericolo canguri e casuari, giungiamo finalmente nella patria dell'umido: il Queensland del nord. Qua l'umidità si butta in faccia e ti piglia a schiaffoni. Non so se rendo l'idea. Passata la notte al Serpent, ostello in zona abbastanza periferica ma dal prezzo onestissimo, io e l'irreprensibile Bontà accompagnamo il Bent e Alice all'areoporto. Ebbene si...è giunto il momento dei saluti per i quattro della East Coast. Noi due restiamo a Cairns per visitare Cape Tribulation mentre il duo calabro-lombardo si dirige ad Alice Springs con meta Uluru, la grande roccia sacra che si staglia nel cuore dell'Australia [chi gioca a Geo Challenge dovrebbe sapere bene dov'è!!! ;)].


Termina qui il road trip in 4 e ne inizia uno mini in 2.
Alla prossima!!

Che l'umidità sia anche con voi!!!
;)

venerdì 13 marzo 2009

East Coast vol.2

La mattina del 4 marzo 2009 siamo partiti da Hervey Bay, da dove era iniziata la nostra avventura su Fraser Island, alla volta di Yeppoon, sempre direzione nord. Da HB sento di viaggiare più leggero, forse perché una parte di me è rimasta su quell'isola fantastica fatta tutta di sabbia.
Viaggiando verso Yeppoon abbiamo attraversato da sud a nord il Tropico del Capricorno all'altezza di Rockhampton, la capitale australiana del manzo. E' stata una giornata di trasferimento infatti non è successo praticamente nulla. Persino la notte trascorsa in un campeggio in riva all'oceano è stata fin troppo tranquilla, se si esclude uno stormo di centinaia di volpi volanti (pipistrelli giganti ndr) che ha attraversato il cielo sopra le nostre teste per diversi minuti, mentre montavamo le tende. L'abbondanza di volpi volanti si accompagna in questa zona del Queensland con quella di stingers, cioè cubomeduse dalla puntura letale per gli esseri umani, e coccodrilli, su cui non c'è nulla da aggiungere escluso il fatto che nessuno sa come il coccodrillo faccia... (turù tish). Il bush è soppiantato nella fascia tropicale dalla foresta pluviale, che colpisce oltre che per le stupende tonalità di verde anche per la straordinaria varietà di suoni che ne fuoriescono.
Yeppoon è stato il nostro trampolino di lancio per Great Keppel Island, un'altra isola in gran parte sabbiosa e non molto estesa. Giunti sull'isola siamo stati accolti dalla gestora del resort che ci ha dato alcune indicazioni sulle spiagge migliori da cui fare snorkeling. Sistemate le nostre tende come provetti boy scouts, ci siamo precipitati su Monkey Beach. Precipitati per modo di dire dato che il percorso impervio in mezzo alla vegetazione fitta dura almeno ¾ d'ora se non di più. C'è da dire però che la nostra fatica è stata ampiamente ripagata, una volta giunti a destinazione. Ci siamo trovati di fronte una spiaggia molto bella con della sabbia bianca finissima e una mare cristallino...e c'eravamo solo noi!!! Dopo le foto di rito con addosso le stinger suits (le mute anti cubomeduse), è partito lo snorkeling. Per me è finito quasi subito dato che nella mia maschera entrava acqua, mentre Danilo, Alice e Alessandro sono stati fuori un bel pò con successo. Dopo Monkey Beach, la ciurma si è divisa: Bontà verso Shelving Beach a prendere il sole, il resto a tentare di raggiungere Long Beach attraverso una scorciatoia aborigena. Dopo aver sbagliato strada “solo” una volta, siamo giunti su sta benedetta Long Beach, che era peggio di Monkey Beach e a livello di snorkeling una chiavica. Questo ve lo posso dire anche io, avendo inventato alla bisogna lo “snorkeling interrotto” o “snorkeling singhiozzante”. Esso consiste nel fare snorkeling normalmente, quando però la maschera si riempie d'acqua bisogna nuotare velocissimamente verso riva e svuotarla prima che le lenti a contatto si trovino a galleggiare in un brodo di acqua salmastra e “gasteme”. Ricordo per i non foggiani che le gasteme sono le bestemmie che il corpo umano produce spontaneamente in reazione ad una situazione di disagio. Flaggata anche Long Beach è il turno della terza e ultima spiaggia consigliataci dalla gestora del resort: Shelving Beach. Complici infradito scomode e ormai alla frutta e una stanchezza accumulata da giorni e giorni di viaggio, io e il Bent, rimasti in giro per l'isola, decidiamo di concedere a SB solo un paio di foto dall'alto senza metterci piede. Tornati tutti al resort è lotta senza esclusione di colpi per le amache. Bontà veste i panni della Svizzera e non interviene nel conflitto, il Bent fa la parte della Russia, fottendomi l'amaca da me opzionata, io mi adatto alla situazione e occupo l'altra amaca in puro stile olandese, mentre Alice rimasta a bocca asciutta fa la parte dell'Uganda. Mosso a compassione, decido poi di condividere l'amaca con la sventurata valtellinese dal passato torbido. Dopo ciò posso permettermi di darvi un consiglio: non condividete mai un'amaca...tantomeno con Alice! xD
La serata sembra volgere al termine dopo una parca cena a base di riso e tonno, ma al tavolo con noi siedono degli imprevedibili mattacchioni: una koreana di cui non ricordo il nome ma che da ora in poi sarà Korea, e una coppia di Melbournesi, lui di origine libanese lei di origine controllata (aka “topa”). Ad attaccare bottone è inaspettatamente Korea, il Bent ci mette del suo e poi entrano in giono i due australiani e le loro bottiglie di vodka Smirnoff. Il tema della serata ad un certo punto diventa il seguente: “Where is Korea?”. Il motivo è che Korea inizia a inseguire e a sfruculiare senza sosta un opossum. La scena madre è quando arriva, prende un coltello da tavola e va di nuovo via inseguendo l'opossum. Dopo quella sera non abbiamo più avuto notizie nè di Korea nè dell'opossum. Probabilmente staranno girando il remake del video di “Don't leave me” di Pink.
La chiacchiera con la coppia australiana scorre bene ed è piacevole, poi si uniscono un'altra australiana sempre di Melbourne e una canadese del Quebec. La seconda australiana si chiama Ruth e di più non so. La canadese non so come si chiama ma so che è una soldatessa nell'esercito canadese, in un reparto di stanza in Afghanistan. Ci ha raccontato un po' della vita militare laggiù e del contrasto estremo con la pace e il relax assoluto offerti da Great Keppel Island, la quale paesaggisticamente parlando e a livello di snorkeling è un'isola mediocre, tranquillamente saltabile durante un trip, ma se ciò che si cerca è evasione dal mondo allora è il posto perfetto.
Il giorno dopo la notte strascorsa su Great Keppel Island si parte con destinazione Airlie Beach e tappe intermedie Agnes Water e Town of 1770. La prima non ha nulla tranne che una spiaggia ottima per surfare, della seconda non posso dire niente perché non forse ci siamo passati e non ci siamo fermati oppure ci siamo fermati credendo che fosse lei e invece non lo era. Anche le città in Australia sanno giocare a nascondino.
Salutate senza un briciolo di rimpianto AW e To1770 siamo giunti la sera del 6 marzo ad Airlie Beach, trampolino di lancio per la crociera alle Isole Whitsundays.

Mi fermo qui perché il prossimo post sarà dedicato esclusivamente ad Airlie Beach e alle Whitsundays Islands.

Passate un fine settimana pluviale.

domenica 8 marzo 2009

Fraser Island

Sabato 1 marzo sveglia alle 6:20, rimozione degli scazzilli (ndr: per chi non lo sapesse, dicesi scazzilli i grumi che si formano agli angoli degli occhi durante il sonno) e ultimo e secondo briefing alle 6:30. Come speaker un grassone forse samoano che a detta degli stessi ragazzi inglesi parlava un pessimo inglese. Vi riporto un esempio delle frasi che ha snocciolato durante il suo soliloquio (guai ad interromperlo o a fare brusio...nota sul registro, sospensione con obbligo di frequenza, lavori forzati e bagni borbonici): “Slaba dinaua gort kinsly...you lose your bond!...Ok?” (il bond null'altro è che la cauzione che si lascia per il veicolo, cioè 60 dollarozzi a cranio...) Terminata la pantomima del grassone dal linguaggio arcano ci dedichiamo agli ultimissimi preparativi e al set up della macchina. Il Bent è stato incaricato da George, il classico Queenslander, una specie di meccanico/carrozziere/tuttofare di controllare gli interni del fuoristrada mentre io ed Ajia, una delle 4 canadesi (piantiamola con le battute... xD), abbiamo ricevuto il compito di controllare la carrozzeria e i cristalli. Dopo i veri checks, il Jabba the Hutt dell'oceania ci ha mostrato una frizione nuova bruciata in 3 ore da un tizio inglese esortandoci a non ripetere la prodezza, pena ovviamente la perdita del bond...e penso io anche un paio di schiaffoni! :P Istruzioni di rito sull'inserimento del 4WD e della ridotta, caricamento dei bagagli e alle 8:30 veicoli in strada alla volta del traghetto per l'isola...SI PARTEEE!!! La configurazione iniziale vede il Bent al volante, come responsabile del trasporto per e dal traghetto al resort, me e Bontà sul sedile anteriore e il resto della ciurma anglofona più Alice sui due sedili di dietro a mo' di manipolo di marines. Il traghetto (barge) per l'isola impiega una mezz'oretta, durante la quale iniziamo a scattare le prime foto e ad approfondire la conoscenza coi compagni d'avventura. Due delle 4 canadesi si rivelano subito come due “malate”, introducendoci al loro PP. Che cos'è sto PP?! Io a distanza di una settimana e più non l'ho ancora capito bene, ma all'atto pratico si fa unendo indice e pollice e stendendo le altre dita a mo' di P, il tutto portando le mani al petto in modo che chi guarda veda due P. So che non avete capito un cazzo nè di come si faccia nè di cosa sia nè a cosa serva, ma ormai è diventato il saluto del gruppone Fraser Island e va bene così!!! xD Giunti sull'isola si innesta finalmente il 4WD e si iniziano a macinare metri sulla sabbia soffice...BELLISSIMO!!! Vorrei che tutte le strade del mondo fossero così!!! I primi momenti alla guida sono un po' di studio sia del veicolo che del terreno che dei passeggeri, ma presa un po' di confidenza si passa al rock n' roll!!! whuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu




Prima tappa sull'isola di sabbia più grande del mondo è Central Station, dove non si prende la metro ma ci si ristora coi paninozzi al tutto fatti grazie alla spesa comune da parte delle due canadesi malate, da qui in poi PP-Gals. Dopo il pranzo la guida del fuoristrada passa in mano al sottoscritto. Inutile ripetere il concetto di DIVERTIMENTO nell'attraversare ampi tratti di bush su un tracciato sabbioso. Prima tappa balnerare Lake Birrabeen. Su Fraser Island è “sconsigliato” fare il bagno nell'oceano a causa di stingers (cubomeduse mortali) e squali per cui l'unica soluzione sono i laghi, che per fortuna abbondano e sono crocs-free, cioè non ci sono i coccodrilli, cosa che male non fa diciamo... Dopo il primo lago un altro, il Boomanjin, dall'acqua coloratissima ma decisamente poco invitante per una nuotata. Fattasi una certa, decidiamo di dirigerci al Cornwell Camp Site, ma ovviamente non poteva andare tutto liscio, perché in Australia non puoi mai nè rilassarti nè annoiarti. Chi ci troviamo dunque davanti insabbiati a pochi metri dalla spiaggia? Ovviamente quegli sfigati del gruppo B del Koala (ndr: noi eravamo il gruppo A). Dopo ripetuti tentativi e sforzi, sotto un caldo opprimente e i ripetuti attacchi di mosche verdi che pungono (penso siano le uniche mosche al mondo che pungono... -.-”), finalmente arriva il nostro salvatore: un autista di bus tour australiano, presumibilmente del Queensland a giudicare dal sorriso stampato in faccia e dalla seraficità con cui ha affrontato la situazione e liberato dalla sabbia un fuoristrada senza 4WD (ebbene si, l'auto di quegli sfigati non aveva il 4 WD ma quegli inetti non hanno detto nulla alla compagnia per un eventuale rimborso). Mi stavo dimenticando di aggiungere che il bus guidato dal pazzoide australiano era pieno di esemplari del gentil sesso provenienti da diversi Paesi. Qualcuno, di CUi non faCCIo il nome, le ha anche contate, ed esiste anche un video della conta, ma probabilmente tale documento resterà inedito per parecchio tempo... ;) Fanculizzato il gruppo B arriviamo finalmente al campo base e iniziamo a montare le tende (purtroppo non canadesi...). Sistemati armi e bagagli scatta il primo bbq condito da fiumi di parole e birra. Cuoco ufficiale del gruppo A è Joey, uno dei due ragazzi inglesi, detto anche Mad Hatter per via del suo fido quanto ridicolo cappello di paglia bounty-style. Mandati giù 2-3 hamburgers gusto carne e sabbia, scattano i drinking games. In Canada ne conoscono a bizzeffe e di molto divertenti e il risultato è garantito: allegria e alcolemìa a nastro! La classifica di devastazione della prima serata è la seguente: 1.Kaelynn 2.Ajia 3.Mary Beth 4.Joey 5.Amanda 6.Jo 7.Shawn 8.V 9.Bent 10.Bontà 11.Alice Inspiegabilmente ma soprattutto immotivamente verso le 23:00 all'improvviso termina il drinking game e tutti si alzano a ballare ognuno un proprio ballo, che ovviamente non c'entra un cazzo con la musica. Il sottoscritto, cercando un momentodi relax sotto la volta stellata, si allontana dal gruppone verso la spiaggia buia ma viene intercettato quasi al volo dalla capolista della classifica succitata. Che cacchio vorrà questa da me?! - penso tra me e me. In perfetto ubriachese mi spiega che vuole che io le insegni alcune mosse per atterrare il Bent... -.-” Dopo 2-3 secondi di legittimo sbalordimento penso che aiutare una povera canadese smarrita è cosa buona e giusta così decido di insegnarle un paio di mosse della mia personalissima arte marziale chiamata Schiappillo. L'allieva è visibilmente limitata nella coordinazione e nella capacità d'apprendimento ma riesce comunque ad atterrare il maestro 3-4 volte sui 500 tentativi effettuati. A questo punto la narrazione si interrompe a causa di una spersonalizzazione del sottoscritto che gli impedisce di attingere nei suoi ricordi (pezza a colori mode ON). ...Arriva il momento della nanna. Le tende sono 4, le persone 11, quindi 3 persone circa per tenda. Una tenda è già formata, cioè i 3 ragazzi inglesi, restano quindi il gruppo italico da 4 e il gruppo canadaese a sua volta da 4. Non essendo la matematica dalla nostra, il sottoscritto decide per il quieto vivere del gruppone di sacrificarsi e di lasciare dormire i 3 compagni italici nella stessa tenda, chiedendo asilo socio-politico nella tenda, guarda un po' “canadese”, sezione PP-Gals. A mio modesto parere, tali gesti di abnegazione andrebbero incensati, ma inspiegabilmente i due amicici Bontà e Bent hanno accolto con sospetto tale gesto, non conferendogli il meritato encomio...mmmah... Il risveglio del secondo giorno è stato epico. Apertura della zip della tenda, stiracchiamento sulla sabbia fredda davanti ad un sole ancora basso e pallido e...cagata nel bush! Ebbene si, non essendoci gabinetti convenzionali nel raggio di almeno 1 km l'unica soluzione è farla nel boshetto alle spalle delle tende. Non puoi dire di aver vissuto Fraser Island se almeno una volta non l'hai fatta nel bush. Il primo driver del secondo giorno è Bontà, che si destreggia abbastanza agilmente tra sabbia soffice e battigia. Prima tappa Indian Head, cioè la punta estrema della costa est dell'isola percorribile in fuoristrada. Durante il tragitto incontriamo diversi aereoplani che atterrano e decollano direttamente dalla spiaggia, che in quanto lunga e piatta costituisce una pista d'atterraggio naturale. L'unico “inconveniente” è la promiscuità col traffico automobilistico :D A Indian Head si goda di una magnifica vista sull'oceanoda una rupe a strapiombo sui flutti. L'acqua è talmente limpida che da diversi metri d'altezza siamo stati in grado di individuare una manta e uno squalo. Non potendo andare oltre con la macchina, da Indian Head siamo tornati indietro al relitto della Maheno, una nave-ospedale usata durante la Prima Guerra Mondiale dalla flotta neozelandese arenatasi sulla costa est di Fraser Island nel 1935. Vedendola all'orizzonte nella foschia creata dalla spuma del mare sembra quasi una nave fantasma, e secondo me è uno dei posti più suggestivi di FI se assaporato in compagnia di poche persone o addirittura da solo. Salutata la Maheno, o quel che resta di lei, visita a Lake Wabby. Questo lago mi rimarrà impresso perchè è incastonato tra il bush e il deserto. Da amante del secondo non ho saputo resistere ad una lunga passeggiata, nonostante il caldo e l'abbondante sudata suggerissero prima un'immersione ristoratrice nelle acque del lago. Passeggiare da solo nel deserto è per me una cosa difficilmente descrivibile a parole. Il fascino di sterminate distese di sabbia e dune perfette ha un non so che di mistico e di incredibile. I suoni nel deserto sono radi e netti e l'aria ha un sapore particolare. Ogni singolo elemento che interrompe la distesa di sabbia cattura l'attenzione ed è quasi impossibile non avvicinarsi. Sicchè il vagare nel deserto non è mai lineare come in un qualsiasi altro posto sulla terra. La normale deambulazione viene sostituita da un'andatura più simile a quella di una nave cullata dalle onde del mare. Passeggiare nel deserto è una delle esperienze più oniriche che l'uomo possa provare. Dopo Lake Wabby ritorno al campo base, che avevamo deciso di lasciare a Cornwell Site, e cena a base di carne e sabbia. I postumi della sera precedente sono ancora latenti per cui la baldoria è assente e ci si dedica ad un più pacato e malinconico star watching distesi al buio sulla sabbia. La musica e qualche birra rendono l'atmosfera sin troppo rilassante, tant'è che parecchi cadono vittime del sonno. La volta stellata che è possibile osservare dall'emisfero sud è fantastica. Sarà perché su Fraser c'erano della condizioni ottimali d'osservazione, cioè cielo limpido e assenza di luce artificiale, ma quello è stato il miglior cielo stellato che abbia mai visto fino ad ora. La Southern Cross poi vale da sola il prezzo del biglietto. Il terzo giorno è quello del ritorno sulla terraferma quindi impacchettate le tende ci siamo diretti all'ultimo lago del tour, cioè Lake McKenzie, che somiglia molto al primo dei laghi visitati, il Birrabeen. Dopa la classica strazzata a schiaccia 7, passeggiata lungo la riva fino più o meno al punto diametralmente opposto alla spiaggia balneabile. Da lì i suoni e le sagome delle persone sulla spiaggia opposta sono impercettibili, il che non guasta mai se si cerca un contatto diretto e indisturbato con la natura. Il bello di Fraser Island è che puoi trovare la natura selvaggia anche nei luoghi più turistici, basta fare qualche metro a piedi più in là. Finita la visita a Lake McKenzie, è il triste momento del rientro...e della pulizia della vettura! Già! Perchè tra le cause di perdita del bond sulle condizioni di noleggio c'è presenza di acqua marina sul/nel veicolo e riconsegna del veicolo eccessivamente sporco. Troppa discrezionalità per i nostri gusti, così decidiamo che è meglio dare una pulita alla carrozzeria e agli interni in attesa del traghetto per Hervey Bay. Una volta a bordo del traghetto, sul ponte superiore non ho potuto fare a meno di fissare a lungo quest'isola magnifica, rivivendo dentro di me i due magnifici giorni passati e pensando che quello non sarebbe stato un addio ma soltanto un arrivederci a data da destinarsi. Il rientro al resort, 3 marzo 2008, è stato sabbioso. Sabbia ovunque: in bocca, sulla pelle, nei capelli, in tasca, negli occhi, tra i denti e anche sul conto in banca. La stanchezza si tagliava a fette ma la soddisfazione per i luoghi e la compagnia era al massimo in ciascuno degli 11 membri del gruppo A. Verso le 22:00 abbiamo salutato le 4 candesi Amanda, Ajia, Mary Beth e Kaelynn ripromettendoci di rivederci ad Airlie Beach. Io e il Bent abbiamo poi trascorso il resto della serata con Shawn, Jo e Joey, i ragazzi inglesi, per poi salutare anche loro verso mezzanotte con la promessa di rivederci anche con loro ad Airlie Beach. Penso che il tour su Fraser Island è una delle cose che più mi rimarrà dentro di questo viaggio in Australia. Nonostante sia una meta di massa, ho potuto trovare meravigliosi angoli di natura selvaggia vissuti in solitaria, ma anche assaporare momenti di esaltante baldoria di gruppo con delle gran belle persone.
Yin Yang satisfied.

sabato 7 marzo 2009

East Coast vol.1

Lasciata Brissie la prima tappa “non cittadina” è stata Coolangatta (di nome e di fatto... ;P), una specie di Riccione australiana, dove abbiamo ribeccato il mitico Natzuki detto Natzky, un giapponese fuori di melone che forse conosce meglio l'italiano dell'inglese e che dopo aver lavorato per 3 anni in Toyota montando sportelli ha detto basta ed è partito per l'Australia col solo scopo di surfare. Dopo una buona passeggiata costeggiando l'oceano e le foto di rito al paesaggio abbiamo salutato il samurai surfista e ci siamo messi in viaggio per la non distante Surfers Paradise. Peccato non essere passati da Coolangatta il giorno dopo, in occasione di una tappa del campionato mondiale di surf. Di per sè non è un posto che lascia il segno ma per una vacanza all'insegna del surf non è male.
La tappa successiva è una specie di Rimini australiana [non a caso Surfers e Coolangatta sono vicine :)]. Lasciati i bagagli in ostello, solita procedura ormai collaudata: passeggio e foto. Purtroppo a SP non abbiamo speso a great time. Io, Alice e il Bent siamo andati in spiaggia a farci flagellare dal vento e dalla sabbia, mentre il povero Bounty è stato vittima del furto del suo portafogli nel luogo che più ci resterà impresso di Surfers Paradise: l'Hard Rock Cafè. Dopo aver rivoltato come calzini tutti i posti battuti abbiamo iniziato a sospettare che non si trattasse di smarrimento ma di furto. Tornati al HRC abbiamo chiesto alla Security (gentilissima) di poter visionare il filmato della telecamera di sicurezza, che ha confermato il nostro sospetto: colpevole una butrillona di merda che spero vivamente spenda di medicine tutto ciò che ha guadagnato da questo furto.
GO TO HELL FUCKEN BITCH!!!
Al di là della disavventura, Surfers Paradise è una cittadina non male che vive e prospera sul turismo e sul surf.

Dopo la notte trascorsa in ostello a Surfers Paradise, il quartetto più improbabile di tutta la East Coast si è diretto alla volta di Noosa, su cui sono state fatte le battute più atroci del mese con una netta supremazia del Bontà... Noosa è un altro classico posto per surfisti, ragion per cui io e il Bent ci siamo dati a del sano bushwalking a pochi metri dall'oceano.
Salutata Noosa, siamo arrivati a Rainbow Beach in serata. La faccio breve a Rainbow Beach non c'è un cazzo...ma proprio niente!!! L'unica cosa positiva è che si trova all'interno del Great Sandy National Park, di cui ho pubblicato già alcune foto su facciadilibro. A RB abbiamo trascorso la prima notte in tenda. Io e il Bent abbiamo fatto del nostro meglio per tenere sveglia Alice...russando!!! Esperienza positiva anche questa per me, dato che erano un po' di anni che non facevo campeggio.
Dato che a Rainbow Beach non c'è assolutamente nulla, a parte una spiaggia per pescare, siamo partiti di buon'ora alla volta di Hervey Bay, la base per il successivo tour su Fraser Island (detta anche dal sottoscritto l'”isola delle frasi” o l'”isola del paroliere”...). Tra RB e HB abbiamo fatto due tappe intermedie: prima un favoloso lookout sull'oceano nel bel mezzo del Great Sandy National Park, dove stavano girando alcune scene di un musical su Space Balls (Balle Spaziali ndr), la parodia di Star Wars. Le foto che sono riuscito a fare sono davvero belle, perciò invito i curiosi a dare un'occhiata all'album pubblicato sulla mia pagina di facciadilibro...AMAZING!!!Dopo questo piccolo ma meraviglioso pezzo di deserto a picco sul Pacifico tappa a Maryborough, paese natale di Pamela Travers L. I più staranno giustamente chiedendosi “chi cazz'è?”, ebbene trattasi nientepopodimenochè dell'autrice di Mary Poppins!! Il nome della cittadina credo prenda spunto dalla famosa tata magica, ma una cosa è certa: a Maryborough esiste un club per tutte le donne che si chiamano Mary (fonte Lonely Planet)! Magari un giorno si riuniranno e decideranno di conquistare il mondo planando su tutte le principali capitali coi loro ombrelli dal manico a forma di anatra.
Giunti ad Hervey Bay, un paesone da cui partono la maggior parte dei tour per Fraser Island, siamo andati direttamente al resort Koala e dopo un pranzo lampo abbiamo fatto conoscenza coi nostri compagni d'avventura: Joey, Sean, Jo (from UK), Mary Beth, Kaelynn, Asia e Amanda (from Canada). Un piccolo passo indietro: Fraser Island è l'isola di sabbia più grande del mondo ed è situata a pochi km a largo di Hervey Bay nel Queensland. Ci sono diversi modi per visitare quest'isola meravigliosa: ci si può andare con un mezzo proprio, con un tour in bus oppure partecipando ad un tour in fuoristrada, l'unica condizione è che ci si vada con un veicolo 4WD, dato che ci si trova a guidare sulla sabbia per tutto il tempo. Ovviamente la nostra scelta, che è quella della stragrande maggioranza dei backpackers, è stata la terza. Le compagnie che noleggiano i fuoristrada, oltre a fornire veicolo e utensili da campeggio, tende incluse, fanno anche formazione per le persone che si accingono a partire per quest'esperienza. Ovviamente sta alla sensibità di ognuno fare tesoro di queste informazioni...infatti solo io e il Bent siamo stati ad ascoltare per filo e per segno il filmato istruttivo con effetti che vi racconterò successivamente... Finito il briefing pomeridiano ed esplicate le formalità di rito, spesa, cena, doccia e a nanna presto per essere in forma per il secondo briefing e la prima giornata sull'isola.

Rimando la descrizione del tour di Fraser Island al prossimo post perchè per la bellezza del posto e per l'esperienza personale merita davvero un discorso a parte.

Stay tuned!